Una delle prime cose di cui ci si rende conto facendo percorsi di crescita personale è che quello è un territorio prettamente femminile. Qualunque sia il tipo di seminario, workshop o percorso spirituale che scegliamo, la prima cosa che salta all’occhio è che questi gruppi sono formati per buona parte da donne con, salvo qualche eccezione, pochi e sparuti uomini.
Cos’è che sembra impedire agli uomini, o a buona parte di loro, di guardarsi dentro, cercare i propri blocchi interiori, aspirare ad una crescita spirituale? A prima vista, non sembrerebbe una differenza di genere.
Ma la verità, forse, è che in questa società noi uomini veniamo cresciuti con un input basico a non guardare mai dentro. Per dirla in parole semplici, veniamo cresciuti fin da piccoli alla scuola di Clint Eastwood: il pistolero solitario è un guerriero, e i guerrieri parlano poco, sentono meno, e soprattutto non si guardano mai dentro. Quindi mai entrare in contatto con le proprie emozioni!
Scherzi a parte, è vero che i modelli maschili che ci vengono passati da famiglia e società, quelli accettati come positivi o vincenti, sono uomini che non hanno alcun contatto con la propria dimensione interiore.
Fin da piccoli, è successo a tutti mille volte, quando giocando al parco giochi ci sbucciamo le ginocchia, ci dicono “non piangere, fai l’ometto“. Perché gli uomini non piangono, mai. Non solo: un uomo, un uomo vero, vincente nella vita, nel lavoro, con le donne, è un uomo che non deve chiedere mai. E per non chiedere mai, non devi avere domande da fare.
E da questo punto di vista va anche peggio nell’adolescenza, tra confronti più o meno nascosti con i coetanei, dove il vincente è sempre quello che ostenta più sicurezza di sé, fame di emergere sopra gli altri, magari con un pizzico di arroganza e senza disdegnare il confronto fisico. Può sembrare una visione estrema, ma ripensate, e lo sto chiedendo agli uomini, quante volte nella vostra adolescenza vi siete sentiti autorizzati nel vostro gruppo, e certe volte pure in famiglia, a mostrare una qualche emozione, una fragilità, un dubbio esistenziale.
Così arriviamo nell’età adulta, nelle nostre prime relazioni, amorose e non, completamente impreparati a qualunque confronto. Finché si tratta di fare, progettare, sistemare, tutto va bene. Ma quando si arriva a parlare di emozioni, di come ci sentiamo, di cosa realmente vogliamo, lì cominciano i problemi. E’ capitata a tutti prima o poi, e sì continuo a chiederlo ai compagni maschi, la volta in cui la nostra fidanzata ci ha chiesto “ma tu cosa senti? non mi dici mai cosa provi, come ti fa sentire questa cosa?”. Noi immancabilmente rispondevamo “non lo so”. E lei di solito scuoteva la testa sospirando, convinta che le stavamo nascondendo i nostri veri sentimenti. Ma la verità è che eravamo sinceri, veramente non lo sappiamo!
Da questa prospettiva, l’idea di intraprendere un lavoro in cui andare a scavare nella nostra dimensione interiore, alla ricerca di ferite emotive, blocchi e quant’altro, almeno a me rende l’idea della grande fuga degli uomini.
Non è che mi sono messo a scrivere questo post col proposito di criticare gli uomini per la loro insensibilità. Anche perché ne faccio parte anch’io, e in questa cosa ci sono immerso fino alla bocca. E’ solo per dire che forse, in una società che da secoli immemori è stabilmente maschilista e patriarcale, in cui sembra che noi siamo quelli con il maggior potere e la maggiore libertà, la verità è che anche noi lì dentro ci campiamo male. Che anche noi, in un modo diverso dalle donne, siamo costretti a digerire stereotipi culturali che ci limitano e ci rendono incompleti. E prima o poi, la Vita presenta il conto. Prima o poi, inevitabilmente, tutto quello che abbiamo nascosto a noi stessi, che abbiamo tenuto bloccato in un angolo buio, verrà fuori a chiederci attenzione e spazio.
Forse allora meriterebbe pensarci su, e prima possibile. Forse sarebbe più furbo dare un’occhiata ai modelli che ci hanno rifilato e che, comunque, abbiamo scelto di vestire. A tutto quello che, per indossare quel vestito, abbiamo ficcato a forza in un cassetto e chiuso a chiave. Perché quel cassetto sta già cominciando a scricchiolare, e prima o poi ci scoppierà tra le mani.
Le donne in questo, va riconosciuto loro, sono molto più lungimiranti. Certo, a loro è socialmente permesso esprimere le proprie emozioni, guardarsi dentro e mostrare le proprie fragilità alla luce del sole, senza per questo venire criticate o giudicate negativamente. Ma hanno comunque ben altre grane da smazzarsi, ed hanno imparato che non lo possono fare da sole. Che per questo hanno bisogno delle altre. Da secoli sanno che per stare bene hanno bisogno di tanto in tanto di riunirsi in cerchio, per condividere i loro problemi e le loro ferite, per sentirsi sostenute dalle altre. Non che la società abbia reso loro le cose facili, anche da questo punto di vista, ma questo è un altro discorso. Provo a non andare fuori tema.
Quello che voglio dire è che anche noi uomini abbiamo bisogno, per stare bene, per vivere integri e completi con noi stessi, di ritrovarci in cerchio. Perché anche questa è una parte che la società “patriarcale e maschilista”, quella che, ci hanno detto, rende a noi le cose più facili e ci dà tutto il potere e la libertà, è una parte che ci ha negato. Se pensiamo agli spazi in cui possiamo ritrovarci tra uomini, intendo quelli socialmente accettati, quali sono realmente? Il bar, lo spogliatoio della palestra, lo stadio? Lì riusciamo ad essere realmente noi stessi, sentirci liberi e sostenuti dai nostri compagni, senza dover indossare il solito vecchio costume? Ma a chi la diamo a bere?
Forse, ancor più delle donne, noi uomini dovremmo lavorare per costruire nuovi spazi, dove poterci ritrovare, stare in fratellanza, liberi di mostrare la nostra dimensione interiore, le nostre ferite e tutta la paura che questo può farci, sentendoci accolti e sostenuti dagli altri. Uno spazio dove poter cercare un altro modo di essere uomini, un modo più integro, più sano, più luminoso.
Non ditemi che non vi siete rotti delle vecchie storie, dei vecchi stereotipi: se affermate che per voi non è un problema, che non ci state stretti dentro, scusate, continuo a non berla. Ho il sospetto che comincino a non bersela più neanche le nostre compagne, sorelle, madri. E se guardo un po’ più in là, forse viviamo ormai in un tempo che si aspetta da noi questo passo.
P.s.: spezzo una lancia a favore del povero Clint Eastwood: se da regista ha fatto film come “I ponti di Madison County” e “Million dollar baby”, forse qualche passo l’ha fatto perfino il pistolero solitario…
Azzeccatissimo! Complimenti per questo articolo che va in profondita’ sul bisogno di questi spazi per uomini alla ricerca dell’approfondimento.