Mi sono accorto che in alcuni dei post passati ho usato spesso una parola, tanto misteriosa quanto pericolosa: il potere.
E’ una parolina semplice semplice, appena tre sillabe, usato come sostantivo ma che di partenza era un verbo. Anzi, per fare il professorino di italiano, è un verbo ausiliare: uno di quelli con cui a scuola ci rompevano le scatole per metterci in guardia dal fatto che li avremmo usati di continuo, perché sono i verbi che esprimono, in parole povere, il campo di libertà in cui ci muoviamo (devo, posso, voglio).
Appunto, il potere ha qualcosa a che fare con la libertà. E qui sta la parte curiosa, perché se vi dico “libertà” vi si apre nella mente tutto un paesaggio di immagini belle, aperte, leggere, paesaggi da poster di un’agenzia di viaggi.
Ma se vi dico, “il potere”? Qui le cose cambiano: non voglio fare quello che pretende di sapere tutto quello che passa per la testa degli altri, ma mi sento abbastanza sicuro nel dire che, appena pronuncio la parola “potere”, vi si chiude qualcosa alla bocca dello stomaco. Il potere evoca immagini di figure forti: re, dittatori, manager, politici, capi militari. Tutte figure che hanno la libertà di muovere e decidere un sacco di cose, e soprattutto lo fanno sulle spalle degli altri. Difficile che questo ci evochi immagini positive, solari e stimolanti, al massimo ci parte un’onda di invidia (che non è proprio il massimo…).
Così ci mettiamo tutti in marcia per migliorare noi stessi, crescere nel lavoro come nella vita privata, fare percorsi personali per evolvere come essere umani, e arriviamo al punto in cui si sentiamo dire che dobbiamo riappropriarci e riconoscerci il nostro potere personale… E qui inciampiamo. Chi vuole una cosa che ci fa chiudere la bocca dello stomaco, che ci evoca immagini di ingiustizia e sopraffazione, di diritti e libertà negate?
Faccio un esempio, e vado a prenderlo dall’inizio (non di tutto, solo della nostra società): il mito di Zeus. Zeus mica è passato attraverso un qualche rito di iniziazione in cui gli è stato detto “vai, ora sei un uomo, hai il potere di realizzare tutte le cose belle che vuoi”. No, Zeus all’inizio si è dovuto nascondere per sopravvivere, perché aveva un padre (Crono) che pur di non cedere il proprio potere ad uno dei suoi figli, era disposto a mangiarseli tutti. E l’unico modo con cui sblocca la situazione è ingannare il padre ed evirarlo, prendendogli il potere. A quel punto, una volta salito al trono dell’Olimpo, non è che si sia mosso molto diversamente. Non s’è mangiato nessuno, ma guai a chi provasse a prendere un pizzico di potere. Lui comandava, e lui solo.
Siamo cresciuti in una società in cui da secoli innumerevoli questa è l’immagine del potere, senza possibilità di alternative. Questa è l’idea di potere che, volenti o nolenti, tutti ci siamo sorbiti. L’immagine che ha attraversato i secoli della nostra cultura, impregnando qualsiasi cosa, dall’ “homo homini lupus” fino alle rifritture sociali del darwinismo. In più in questo ci si è messa anche la religione cattolica, che (senza voler urtare la sensibilità religiosa di nessuno) ci ha passato l’idea che nella vita è bello essere umili (gli umili erediteranno la Terra), è bello sacrificarsi per gli altri, che gli ultimi saranno i primi…
La parte logica della nostra testa può anche dire che non è proprio così, che “il potere personale” è tutta un’altra cosa, che parla della nostra libertà, dei nostri veri desideri, e della nostra capacità come esseri umani di realizzare tutto quello che vogliamo. Bellissimo! E io sono pure d’accordo: è una parte che abbiamo tutti, e che è fondamentale riconoscere perché ne va della nostra vita.
Ma non possiamo ignorare l’altra metà della testa, quella meno ragionevole, quella magica, quella bambina: perché lei non ama i discorsi contorti e non va per mezze misure. Se “potere” è una cosa sporca e brutta, quella parte punterà i piedi ogni volta che faremo un passo verso il nostro potere personale. E dobbiamo metterla in conto: quella parte di noi si metterà a strillare come un bambino terrorizzato, perché gli state chiedendo di diventare una persona cattiva, egoista, che sopraffà gli altri ed evira il padre.
Potete dirle mille volte che non è così, che è tutta un’altra storia, potete cercare di convincerla in cento modi diversi. Ma ve lo dico sinceramente, non funzionerà.
L’unica cosa sensata è provare a ripulire quella parola. Prendere una ad una tutte le immagini che senza alcun filtro vi salgono alla mente quando pensate “potere”, guardarle bene e imparare a conoscerle. E poi fare un lavoro di collage al contrario: andate in giro nella vostra vita, cercate persone, figure, individui (vanno bene tutti, dal fornaio sotto casa, al personaggio di un libro, all’artista indipendente, al medico che vedete alla tv in un campo profughi nel deserto). Con tutte queste persone tornate a quel collage di immagini di partenza, e una ad una sostituitele con queste nuove. Insegnate, con le immagini e non con le parole, a quella parte di voi che punta i piedi, una nuova idea di potere. Un nuovo murales di immagini che rappresenti il tipo di persona con un potere personale che volete diventare.
Non sarà la soluzione di tutto, ma fidatevi: la prossima volta, quella parte della vostra testa punterà un po’ meno i piedi. Magari sarà pure d’accordo con voi, e vi darà una mano. Alla faccia di Zeus.