Un paio di settimane fa, durante il secondo cerchio degli uomini del Sentiero dell’Eroe abbiamo parlato di lavoro. Di come lo viviamo, delle scelte che abbiamo fatto, dei condizionamenti che hanno influito, e di come vorremmo viverlo, di come vorremmo esprimerci e realizzarci nel nostro lavoro.

Incredibile quanto questo aspetto condizioni la nostra vita. Immagino succeda anche alle donne, probabilmente con accenti e sfumature diverse, ma il lavoro è una parte enorme, estremamente importante nella vita di un uomo.

Fin da piccoli, quando ancora siamo anni luce dall’idea di un percorso lavorativo o una carriera, perfino di intravedere una “vocazione personale”, ci viene chiesto “cosa vuoi fare da grande?“, cosa diventerai? E una risposta da bambino, una risposta del tipo “voglio fare il mago” o “l’astronauta” viene presa bonariamente, ma non accolta veramente. L’attesa di fondo è che prima possibile sappiamo e decidiamo il lavoro che vogliamo fare “da grandi”. Crescendo ci infiliamo in un percorso di studi, cercando di capire cosa ci piace, o più spesso cosa gli altri si aspettano da noi, e alla fine scegliamo un lavoro, una direzione. Spesso non lo facciamo ascoltando quello che ci piace, che accende la nostra passione, quello che ci fa sentire felici, utili, realizzati. Scegliamo più spesso la via più sensata, o quella più facile, quella che gli altri si aspettano che seguiamo, o quella che già hanno percorso i nostri padri e i nostri nonni.

Perchè quella scelta alla fine dirà chi siamo, e quanto valiamo. Perchè anche se siamo in un’era nuova, in cui tanti modelli culturali sono stati messi in discussione, veniamo da secoli in cui era “l’uomo a portare i soldi a casa”, a doversi prendere cura della famiglia, a darle il giusto sostegno economico. Quella atavica parte di noi che ci dice che in quanto uomini dobbiamo farci carico del sostegno economico della famiglia che abbiamo scelto di costruire con la nostra compagna, e che il modo in cui ci riusciremo, quanto guadagneremo e la posizione che raggiungeremo nel lavoro dirà quanto valiamo come uomini, quella parte parla ancora dentro di noi.

Parla di sacrificio, di fatica, a volta di sottomissione. Le convinzioni, le credenze che abbiamo ereditato spesso ci hanno convinto che il lavoro è fatica, che è la croce che dobbiamo portare noi uomini, che il lavoro non ha niente a che fare con il piacere, con il godimento, con la felicità. Qualunque cosa ci piaccia, non è un vero lavoro. Qualunque cosa non ci dia un cospicuo ritorno economico, non è un vero lavoro.

Spesso è con questo fardello che scegliamo il nostro lavoro. E una volta varcata quella soglia, all’improvviso ci sentiamo adulti, abbiamo superato un rito di iniziazione, siamo entrati nel cerchio degli uomini che lavorano. E quel lavoro che abbiamo scelto, ora ci definisce, ci connota come uomini. Fate caso ad una cosa: ogni volta che ci presentiamo, specie ad un altro uomo, tendiamo sempre a dire che lavoro facciamo. Ciao, sono Marco e sono un avvocato. Al nostro nuovo lavoro chiediamo, o permettiamo, che definisca chi siamo, che tipo di persona siamo, che vita conduciamo. Passiamo buona parte della nostra giornata in quel lavoro, spesso a discapito di vita sociale e relazioni. Nel lavoro riversiamo aspirazioni, sogni, l’immagine di noi stessi, senza però che questa sia nata da una vera scelta interiore, davvero personale.

Il lavoro diventa una parte enorme della nostra vita quotidiana, e per forza di cose gli chiediamo di soddisfare i nostri bisogni: che ci renda felici, che ci faccia sentire realizzati, stimolati, vivi. Alcuni di noi diventano quelli che in inglese chiamano dei “workaholic”, dipendenti dal lavoro: ci stressa, ci sfianca, ma non possiamo farne a meno, non riusciamo a dargli dei confini, degli spazi limitati dentro e fuori di noi. Perchè ci dice chi siamo.

Ma alla fine è stata una vera scelta? Come possiamo scegliere una via così importante senza ascoltare il nostro cuore? O senza aspettare che ce ne indichi una? Oppure: ha senso scegliere un lavoro come un mezzo per sostenere noi e la nostra famiglia, e farlo poi diventare il fine ultimo della nostra vita?

Quello che sento, e che ho condiviso con gli altri uomini del cerchio, è che il lavoro e la strada che intraprendiamo nella vita deve nascere dal nostro vero desiderio, dal nostro sentire più profondo. Liberi dalle credenze che abbiamo ereditato, i condizionamenti e le pressioni a dimostrare di essere “veri uomini”, di “valere”. Sento che il dono più bello che possiamo fare alle persone che ci circondano, alla nostra famiglia e alla società è un uomo felice nel proprio lavoro, consapevole delle proprie scelte, libero nel percorso che sta camminando. Perchè è il percorso che per lui ha un cuore, che lo fa sentire centrato e vivo in ogni suo passo.