Ho iniziato ad interessarmi a percorsi di crescita personale intorno ai vent’anni. Uno dei miei primi passi in questo mondo fu l’incontro con la filosofia zen e le sue pratiche meditative. Ricordo che in quel periodo leggevo un sacco di testi di maestri zen, del passato e contemporanei, e frequentavo un centro dove meditavamo due-tre volte la settimana. Ricordo che mi svegliavo molto presto la mattina, andavo al centro, meditavo per un’ora e mezza insieme agli altri e poi prendevo il treno per andare a lezione all’università. In quelle sedute restavo in silenzio, seduto a gambe incrociate, fissando il muro ad un metro da me e cercando quello stato di vuoto interiore, imperturbato da pensieri, emozioni, ombre e problemi della vita quotidiana.
Per le mie inclinazioni personali, lo zen funzionava benissimo. Quello spostarmi dal vorticare quotidiano di pensieri, onde emotive, problemi da affrontare, per ricercare un piano di pace, di vuoto e distacco da cui osservare tutto quanto mi accadeva intorno abbastanza da lontano da non sentirmene più toccato o perturbato era, in quel momento della mia vita, tutto quello che ritenevo dovesse essere il traguardo di un percorso spirituale. Il problema si ripresentava appena uscivo dal centro zen , aprivo la porta sul marciapiede, e sentivo la vita di tutti i giorni ripiombarmi addosso e circondarmi.
Senza nulla togliere alla tradizione zen, una scuola spirituale millenaria e con inestimabili fonti di saggezza e profondità, ma per come la stavo vivendo, qualcosa evidentemente non funzionava. Mi sembrava impossibile che quel “posto” che andavo a contattare durante le sedute di meditazione, così intatto, rarefatto, così puro, potesse avere qualcosa a che fare con la mia vita quotidiana, con le esperienze, le relazioni, le sfide di tutti i giorni. Erano due mondi separati, il quotidiano e l’eterno intoccabile, il corrotto e l’incorruttibile, il sotto ed il sopra. Io però ero in mezzo. Anzi, a volerla dire tutta, abitavo più al piano di sotto che a quello di sopra. E continuare a salire le scale di tanto in tanto per passare un po’ di tempo “di sopra”, non avrebbe cambiato il fatto che io comunque, in questa vita ed in questo tempo, appartenevo al piano di sotto. Con i miei pensieri, le mie emozioni, le mie ferite, ed il mio tanto vituperato ego.
Poi è successa una cosa. Quasi per caso, alcuni amici mi hanno convinto a seguirli ad un seminario di sciamanesimo mesoamericano. Fino ad allora non avevo mai fatto alcuna esperienza di pratiche sciamaniche, nè sapevo gran che di nessuna cultura ad esse collegata. E per me fu un incontro dirompente. Abituato ad approcciarmi ad una pratica spirituale bello pulito, calmo e distaccato, nei cerchi e nelle pratiche di quel percorso di colpo mi si chiedeva di sdraiarmi sulla terra, sentire gli Elementi, contattare l’energia degli alberi, parlare con il Fuoco. Di norma finivo le giornate di pratica con fango infilato dappertutto. Ma fango a parte, l’aspetto più importante è che mi si chiedeva di entrare in contatto profondo (fisico, energetico, emotivo e spirituale) con tutto quello che mi circonda, e di rispecchiare in esso quello che avevo dentro: le mie emozioni che fluiscono come un torrente di Acqua; le mie passioni, desideri e impulsi che si accendono, propagano e spengono come un Fuoco, e come esso vanno curati; i miei pensieri, che come l’Aria scorrono e prendono forma e direzione del paesaggio che incontrano. E così via.
Quello che successe è che di colpo la prospettiva era stata ribaltata. Non mi si chiedeva più un’ascesa, di trascendere onde emotive, ferite interiori, conflitti e sfide quotidiane, ma di immergermici completamente. Di imparare a vedere me stesso come un punto di luce e coscienza immerso nel fiume della vita quotidiana, con una propria storia personale di esperienze, ferite, traumi e sfide, una storia anteriore di antenati e genitori, e una famiglia ancora più allargata intorno costituita da tutti gli esseri, visibili e non visibili, che compongono il mondo e la Natura tanto quanto noi.
Questo cambio totale di prospettiva, che all’inizio non fu facile per me accogliere, con il tempo ricucì quella frattura che sempre più sentivo con le pratiche spirituali che avevo seguito in precedenza. Perchè non dovevo più fare differenze tra un sopra ed un sotto, un puro ed un corrotto, e barcamenarmi tra i due. Perchè ora mi veniva chiesto di guardare che quello che mi circonda, quello che mi succede, io stesso, tutto come ugualmente sacro. E ricordare che il campo di battaglia, o di gioco se preferisci, per una crescita personale e spirituale è proprio la vita di tutti i giorni, le piccole e grandi sfide che incontro quotidianamente, le mie relazioni, le luci e le ombre che mi porto dentro. Non avevo più da fare i conti con il marciapiede appena uscito dal centro di meditazione: quello che avevo meditato e quello che avrei fatto camminando sul marciapiede sarebbero stati altrettanto “spirituali”. Da quel momento la sfida non era più portare me verso il Sacro, ma riconoscere il Sacro in ogni passo della mia vita.
E questo, a dirla tutta, sarebbe solo l’inizio del racconto di quello che è stato ed è per me lo Sciamanesimo. Probabilmente racconterò ancora di altri post, e di sicuro ne parleremo in cerchio durante il prossimo Percorso che ho preparato con la mia compagna, e che inizia proprio questo autunno. Quindi se ne vuoi sapere di più, e fare un primo passo in questo mondo, dai un’occhiata alla pagina del Percorso sulla Medicina degli Elementi.

Photo by Eddie Kopp on Unsplash